Le Bosinade

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* Definizione della Bosinada di Giovanni Fichera

 

 

* Esempi di Bosinade

* Noeuva Bosinada sovra l’abbondanza del vin

* Noeuva Bosinada che doping quella giornata dell’Ecliss tant singolar…

* Dialog tra Parpotera e Barlafusa

* Testament del secol milla vott cent

* El Ridicol Matrimoni

* I Lament di tosann tutt disperaa perché gh’è i gioven che van a soldaa

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEFINIZIONE DELLA BOSINADA

Estratto dal Testo di Giovanni Fichera “Mimi popolari lombardi”

 

 

 

La bosinada è componimento poetico in dialetto, inteso a commentare un fatto lieto, o triste, della vita quotidiana. Cronaca in versi, potremmo dirla; cronaca del Sei del Sette e dell'Ottocento milanesi; poiché nel Sei nel Sette e nell'Ottocento ebbe sviluppo notevole, anzi glorioso, per mezzo dei poeti che le si dedicarono. Carattere precipuo della bosinada è la flagrante umanità del suo contenuto, cui aggiunge pregio la immediatezza delle sue conclusioni. Vi si indicano luoghi, persone e circostanze di comune conoscenza con aggettivi e appellativi e sentenze che suscitano il pianto o il riso dell'uditorio e il commento. Essa è l'espressione del buon senso popolare, che osserva i fatti del giorno e reagisce alle aberrazioni sociali, da qualunque parte provengano.       

La sua natura è squisitamente etnica, poiché deriva dal popolo, e s'indirizza al popolo, del quale interpreta, o previene, i desideri più riposti, e sottolinea i difetti, le manchevolezze con lo immancabile intento ammaestrativo. (Ripetiamo che mediante l'espressione " deriva dal popolo " non si intende alludere a quella creazione collettiva dei popolo-poeta di cui favoleggiò per molto tempo, il falso immaginare dei romantici e contro la quale attività giammai esistita perché impossibile, più volte parlammo).

 

Altra caratteristica della bosinada è la sua pubblicità corale; perciò il suo ambiente preferito era la piazza o il rione suburbano, donde pontificavano i loro autori, gl'incaricati dei loro autori, attirando e interessando il pubblico nei modi più svariati e con gli accorgimenti dei saltimbanchi e dei giocolieri, e talvolta cori preludi e commenti musicali, declamando o recitando i loro versi, colorandoli con la mimica e la truccatura, come fanno gli attori. E mimo può definirsi anche la bosinada, rappresentazione popolare all'aperto, o teatro, poiché del teatro possiede tutte le caratteristiche; e ben può dirsi una continuazione dei contrasti popolari, e delle sacre e profane rappresentazioni, e dei canti carnascialeschi e bacchici, che dai mimi antichi ripetono i mezzi, gli intenti, e vorrei pur dire gli argomenti; continuazione delle carnevalate e delle carrettate siciliane; delle zirudele marchigiane ed emiliane e romagnole; e in certo qual modo delle tarantelle...

 

Francesco Cherubini, nel sito celebre e raro Vocabolario Milanese-Italiano (Milano, 1839), alla voce "Bosinada", così si esprime: "Composizione in versi vernacoli milanesi, la quale per lo più viene recitata e gridata per città dai così detti Bosin. E' grandissimo il numero di queste Bosinade; nella Ambrosiana n'esiste una decina di volumetti in più(1). La maggior parte sono scritte male; ma non pertanto s'hanno il pregio così di diffondere la buona morale tra 'l popolo come di far vivo ritratto delle mutazioni elle d'età in età va sopportando il dialetto, e di conservare memoria delle costumanze e degli aneddoti del paese. Il nostro popolo però suol chiamare Bosinada anche oggi altra scrittura in dialetto milanese e specialmente ogni poesia vernacola, ma dai bei versi del Balestrieri e del Tanzi, dalle inimitabili poesie del Maggi e dei Porta e dalle bellissime del Grossi e del Rajberti a questa specie di vere Bosinade vi corre quella diversità che ognun vede".

Alla voce " Bosin ", lo stesso Cherubini ha detto: " Così chiamansi fra noi quegli uomini che vanno per la città cantando o recitando quelle composizioni che son dette Bosinade. Anche ai nostri poeti scrivendo in linguaggio vernacolo è piaciuto di assumere il titolo di Bosin ".

Infatti per modestia molti poeti milanesi colti, chiamano Bosinade le loro composizioni, anche se queste non abbiano nulla in comune con il caratteristico, genere di cui ci stiamo occupando; perciò nessuna delle bosinade di costoro è stata inclusa nel presente volume. La verità è che nell'uso comune attuale, la parola " bosinada " ha assunto il significato giocoso di poesia di scarso valore.

 

Altre definizioni delle bosinade ci hanno lasciato Bernardino Biondelli, Cusani Confalonieri, Giovanni De Castro, il Prof. Angelo Maria Pizzigalli.

Definisce Bernardino Biondelli le bosinade "quei componimenti poetici d'occasione, sovente satirici, in ogni metro e stile, che distinguono la poesia vernacola lombarda, e dei quali immenso è il numero e per lo più oscuro l'autore. Una raccolta di queste poesie, massime appartenenti ai tempi moderni, fatta per cura del benemerito Francesco Bellati, serbasi ordinata in nove volumi della Biblioteca Ambrosiana (1), e sarebbe di gran lunga maggiore, ove alcuno, prima di lui, avesse impreso di farne collezione. Di tante produzioni però, ben poche meritano ricordanza, non solo pei loro frivoli argomenti, ma soprattutto per l'assoluta nullità. La sola importanza loro consiste nel documentare la storia patria, nonché lo spirito dei tempi e le fasi che il dialetto milanese ebbe successivamente a subire; sebbene eziandio a tal uso il maggior numero non valga, o per una mancanza di data, o per l'imperizia dell'autore, e per troppa esiguità " (2).

 

Con tutto il rispetto verso il paziente e benemerito studioso, sento il bisogno di affermare che la frivolezza e l'assoluta nullità da lui rilevate nel maggior numero dei componimenti in parola, sono una sua ingiusta e perciò inaccettabile esagerazione. Tant'è vero che egli stesso, dopo avere espresso in termini perentori e sbrigativi la condanna, ha soggiunto " che la sola importanza loro consiste ne1 documentare la storia patria, non che lo spirito dei tempi, etc. "; la qual cosa va a tutta lode delle bosinade e dei loro autori. La storia patria e lo spirito dei tempi è titolo di altissimo onore, ché va ricordato e illustrato con affettuosa attenzione.

 

Interessante e degna di ricordo è L'origine delle bosinade così come è ricostruita dallo stesso Biondelli, nell'opera citata:

" I primi poeti milanesi imitarono le rozze favelle delle vallate di Blenio e d'Intra; o si nascosero sotto le spoglie del Bosin, nome generale e comune tutt'ora ai villici dell'Alto Milanese; onde furono poi dette Bosinade le innumerevoli poesie liriche di occasione composte nei dialetti lombardi.

"Da principio i poeti milanesi adottarono il dialetto della valle di Blenio,i cui abitanti solevano recarsi in frotte, annualmente alla capitale lombarda, per esercirvi il mestiere di facchini, e, sul modello dell'Arcadia, i cui membri assumevano spoglie pastorali coi nomi di Titiro e Melibeo, fondarono l'Accademia della valle, di Blenio, nella quale, cori le mentite spoglie di facchini, tentarono nobilitare coi poetici numeri la lingua, i costumi ed i rozzi concetti di quella povera gente.

 

" L'origine e gli statuti di questa frivola Accademia furono pubblicati nei Rabisch dra Academiglia dor Conmpà Zavargna, ove sono racchiuse molte poesie facchinesche di Gian Paolo Lomazzo, autore di questo libro e principe dell'Academia, nonché vari componimenti di altri zelanti academici. Tra questi emersero Bernardo Baldini, Lorenzo Toscano, Bernardo Rainoldi, Gio Battista Visconti, Giacomo Tassano e Lodovico Gandini, dei quali sopravvivono appena alcune poesie volanti.

 

" In quel tempo di decadenza, la moda avea diffuso in Italia il barbaro gusto per le lingue fittizie ionadattica e furbesca (1), e in Lombardia tenne per breve tempo il loro posto quella della valle di Blenio. Poco dopo, vale a dite in sul principio del secolo XVII, vi fu, sostituito il dialetto della valle Intrasca, noti meno strano dei primo, e proprio parimenti, d'una parte dei facchini della capitale nativi di quella valle.

 

" Venne quindi fondata " La gran Badie doi facquin dol lag Mèjo ", e in essa i poeti lombardi, serbando sempre la maschera facchinesca, illustrarono questo nuovo dialetto montano con molti componimenti poetici, che sfoggiarono per lo più in sontuose mascherate carnascialesche, in almanacchi, ed in opuscoli d'occasione, dei quali serbasi una ragguardevole raccolta nella biblioteca Ambrosiana.

 

 

 

 

 

(1) L'affermazione, purtroppo, da quando Milano fu bombardata non risponde al vero.

 

(2) BERNARDINO BIONDELLI, Saggio sui dialetti gallo-ítalici, Milano, 1853, presso Gius. Ber nardoni di Gio., p. 89.

 

 

 

 

 

Testi di Bosinade

 

 

 

Noeuva Bosinada sovra l’abbondanza del vin

 

 

 

 

MILANES L’E’ CHI EL BOSIN

A CANTA’ I BONDANZ DEL VIN,

E LA RABBIA DI BRUGNON

PER TEGNI PU SU L’OREGGION

COME HAN FAA IN STAGN PASSAA,

E DOVE’ VENDEL BOMARCAA

 

 

I.

L’è fenida la stagion

Dove tutt i Ost Brugnon

Faseven pagà in st’agn passa

Trenta sold el vin al boccaa,

E sold vint quell’olter vin

Ciamaa lavadura de conchin.

Mi me senti a slargà ’l coeur

Che l’è finida se Dio voeur

La stagion de carestia

Da dovè bevv come sessia,

Ch’el giornadee, e l’operari,

El poverett, e l’usurari,

El sciorett, el servitor,

E tutt qui che no g’ha on bor:

 

II.

In andaa a bevv per tutt quest’an

Dove se van a sposà i rann.

Per no consumà la soa giornaa

Nomà a beven on mezz boccaa.

Allegrament o Cittadin

L’è chi la stagion del S. Martin,

E ona stagion come quest’ann

Che tolt di loeug dov’ a faa dann

O la nebbia, o la tempesta ,

ona stagion come l’è questa

Che han faa uga fina i frasc:

Dem da man chi ha on bon fiasc

E femen di pell con el boccaa

Per i degiun de stan passaa.

 

III.

Calzolar, e Sciavattin,

Ciamaa per nom i mangia vin,

Manescalc, e legnamee,

Giusta pignatt, con i ferree,

Sart, imbrojò, pattee,

Sbianchin, servitor, strasciee,

Prestinee, pizzigott, banchinatt,

e d’ogni strazion de bottiatt,

e tutta quella razza paja

Che se ciama vesinaja,

Con tutt el seguet di sposett

Che sta sui port a fai braghett

In general el vost Bosin

V’invida tutt ai Bettolin

 

IV.

A mangià salam, e oeuvv

E a bevv di pint de bon vin noeuv

Passaroo prima a insegnà

I loeug mei dov hii d’andà

Per spend poc e bevel bon

Senza depend di avar brugnon.

No ste andà in Porta Romana

Perchè nol vaar ona pu….

In Porta Comasna ai bettolin

L’è pussee acqua chevin,

Andee donca o Milanes

A Porta Marenc, o ticines,

O pur portevv in Porta Renza

Ciamaa de la reconossenza.

 

V.

Che bevarii del bon vin scett

El bavarii a prezi discrett.

Se vorrii bevv del bon crodell

Andee in la contrada dell’Agnell,

Al pasquee la di Gajnn

Dove ghe va anc di signorin,

Con la sciarpa, e la perrucca

A impiss de vin pescg d’ona zucca.

Anca la dov’è la stretta

La de S. Maria Segretta,

Bevarii del vin d’agraa,

E della Brianza a bomarcaa

Anca in porta Vercellina

In paricc sit venden ciorlina.

 

VI.

Ma lì al Bacc, e al castell,

E massem là visin al portell,

Se bevv ve dighi del bon vin

Tant de ross, che tolborin.

Se vegnii poeu sul Pontasc

Vu impegnee per fina i strasc

Per andà in quella cantina

A beven de quel della collina.

On mei loeugh poeu no se troeva

Com’e ’l bettolin de porta noeva

La tant noevv, come quel vecc,

El fa verament drizzà i orecc,

E quel l’è propri de quel vin

Che fa di voeult parlà latin.

 

VII.

Dove se troeua del bon vin

In di spadee, e al Rebecchin,

A Camp Sant, e sul Verzee,

E in la contraa di Armoree,

In Contralarga no ghe andee

Perchè l’è bon da lavè i pee.

Tutt i boeucc li adree al Dom

Sarii Servii de galantom,

Ai cinqu vii, e sul cordus

G’han di ciaccer, e di scus.

Alla Roeusa, e la in di Ratt,

El se bevv bon ma l’è on poo fatt:

Vers S. Giorg là al Palazz

Ghe del vin noevv da fan di sguazz:

 

VIII.

Ma fradellas tant no se pò

Perchè l’è mesciaa con l’oltre Pò

Ma se tutt de man in man

Avess de di i boeucc tutt de’ Milan

L’è minga assee che mi stass chi

Ses o vott, o quindes dì.

Basta savè che in stan che ven

Per el vin starii pu ben

De quel che per la scarsitaa

I degiunaa in stan passaa.

Giacchè parland di loeugh in massa

Che se troeua chi alla bassa

Han fa del vin in abbondanza

De bona sort, e de sostanza.

 

IX.

Sebben mi son d’opinion

Che tutt i Cittadin Brugnon

Chi vorrà corr all’Ostaria

Ghe metteran sù la spezieria,

E chi vorrà bevel badial

Boeugnerà dac anc mo al boccal

I vintiquatter, o i desdott,

E fa de locc e di nagott,

Ma in sto cas all’Ostaria

Ghe andarà la compagnia,

Generalment de quella gent

Che g’han mezz e coeur de spend

E che poc g’ha da importà

De sti Brugnon fass inciodà.

 

X.

Ma la gent ch’in limitaa

In di risors, con poc’intraa

E che mesuren el quattrin,

Se on quai biccer vorran de vin,

Andaran ai bettolitt

Tant per god maggior profitt

Già che se sa tutt i Brugnon

Col pretest, colla reson

Del fitt, di aggravi, e olter pes

Scorteghen viv i Milanes

Che qui poc voeult che van de lor

Anca sibben che sien scior

Boeugna dil senza ritegn

Che per on pezz ghe resta el segn.

 

XI.

Ma sora al tutt ve fo avvisaa

Che nell’andà a vojà i boccaa,

Usee on puo moderazion

Perchè el vin noeuvv in sta stagion

Ch’il le bevv senza mesura

Faran per i straa brutta figura,

E marcaran la brutta impronta

Ciamaa da nun arma Visconta,

E in gener de arma già savii

Che in sti temp in proibii

Giac chè tutt i Cittadin

E ricc, e pover, e meschin

Formen adess per maraviglia

Tutt ona razza, e ona famiglia.

 

XII.

Sievv donca moderaa

Se on mezz no basta, anc on bocca,

E se i amis ve dan na spinta

Marciec a beven anca ona pinta;

Fina chi ve do al permess;

Ma se vorrissevv anda all’eccess

Fina de toccal coi did

E poeu menà i man a taccà lid,

Allora ve ordini na rizzetta,

Cioè la soleta dieta,

La soleta penuria e scarsitaa

Che avii provaa sti agn passaa

Se sta bondanza in conclussion

La da portà dan alla complesion.

 

XIII.

Andee pur a sti patt chì

All’Ostaria tutti i dì,

In di bus, ai Bettolin,

A stostentavv con del bon vin,

Massim infin della giornada,

Con i voster camarada,

O verament colla Miee

Colla scorta del palpee,

Con dent i avanz del vost disnà

O del formai per pasteggià

De quel che va attorna da per lù

Che dopo mangiaa el torna su.

O del stracchin de quel salaa

Tant per vedè el cuu del boccaa.

 

XIV.

Viva donca la stagion

Da podè bev del gran vin bon.

E beven assee e a bomarcaa

Minga pu al segn de l’an passaa.

Minga pu ne vint, ne trenta,

Ne manc tant zecchin per ona brenta

Ma a vott, a sett, o a dees.

Respiree i mee Milanes

Che avii fenii de degiunà

Da fa di vood, da sospirà

E per carestia de scarsella

Andà a bevv alla sidella:

Che quel temp l’è poeu rivaa

Da bev del vin bon a bomercaa.

 

F e n i d a.

 

 

 

 

 

 

...NOEUVA BOSINADA
CHE DEPING QUELLA GIORNADA
DELL’ECLISS TANT SINGOLAR
CHE SEGUIRA’ L’UNDES FEBRAR,
IN LINGUACC DE MENEGHIN
TRA MARFORI, EL GRAN PASQUIN

 

 

IN MILAN

 

1804

 

 

 

I.

 

Mar. El Popol bass generalment

Che nol capiss on bel nient

Del gir del So, de' Luna, e Stell,

El fa tant ciacer, tant spuell

Sull' Eccliss che ha da suzzed;

L'ingnoranza ghe fa cred

Da vedè nel bel mezz dì

Di stravaganz da fa stremì,

E second dis i Astronem

Da vedè gran cos de sto fenomen;

Già che si chì el me car Pasquin

Trem in moneda sto latin,

E spieghem bel e destes

In parol tond de Milanes

Tutt quel mai che pò seguì

Per l'Eccliss de sto gran dì.

 

II.

 

Pasq. Mi ve ciami ben perdon;

Ma questa chi l'è on ispezion

Minga a proposet per Pasquin

Ma a quij che compon i Taccojn;

O dij Astronem badial

Che stan de nocc col cannocial

A studià tutt i moviment

Dei Pianet del Firmament;

Nepunumanc già che sem chi

Vel poss cuntà quai coss anc mi

Segond dis la teorìa

De quìj che sa d'Astronomìa,

Che di Pianet ciar e polid

Lor san el gir a menadid ,

Mei di Fiacher strascia contraa

A savè 'l gir de la Zittaa.

 

III.

 

Mar. Comé l'è inscì sont ben content,

Disii pur su che ve sto attent

Mei che del Lott on giugador

Che tra la speranza, e tra 'l timor

El sta là pien d'attenzion

A cavà i ball per l'estrazion.

 

Pasq. Prima de tutt boeugna savè ,

Che s'ecclissa el So, perchè

In quel dì el se troeuva impari

Alla mader di Lunari;

Cioè alla Luna già s'intent

Illuminada eternament

Dai ragg del So, che per dessott

La ne fa ciar anca de nott,

E anc ch'el So el sia a dormì

I so rifless in semper chì.

 

IV.

 

Sto Pianet ciammaa Lunar

L'è on corp gross che non fa ciar,

L'è del So pu piscinin,

E alla Terra el più visin.

Boeugna savè ch'el noster mond

L'è on ballon bell e rodond,

Che in 24 or continuament

El va d'Occident all'Orient,

Girand sul so ass de dì, e de nocc,

Come una roeuda de carrocc.

Per sto motiv a nun ne par

Ch'el Pianet ch'el dì rend ciar

El sia quel credem appont

Che gira intorna al noster mont ,

Giudicand materialment

Sol quel che se ved, e che se sent.

 

V.

 

Donc quand suzzed la Luna noeuva

In mezz alla Terra, e al So se troeuva

Per l'appont el corp Lunar,

E mezz ecclissaa quel So bel ciar;

Perchè l'ombra del nost mond

La rend fosc quel So bel tond

Della Luna, e in conseguenza

Anc el So nell'apparenza

El rezevv tutt la Fegura

De la Luna orbada, e scura.

Per toeu l'ignorant dal disingann

Dopo el gir de tanti ann

La nostra terra in conclusion

Trovandes in zerta posizion ,

Per quai minut co la soa ombria

E tond Lunar la quatta via.

 

VI.

 

Donc durant la congionzion

Dei duu Pianet che ho faa menzion,

L'istess ombra del nost mond

Anc la lus del So la scond ,

Ecco el motivv ciar e prefiss

Perchè ogni tant suzzed l'Ecliss

E quest'ann prinzipalment

Trovandes la Terra espressament

In la già dita positura

Restant la Luna tutta scura

La quattarà del So el mostacc

Da no vedess che on debol racc

Sul gust de quel de l'Aurora ,

Oppur del dì nella prim'ora.

Restant scovert in una parola

De dodes part che una sola.

 

VII.

 

Mar. Ma el mo vera che in sto dì

Di stravaganz ha da seguì,

Come saravv di terramott,

Che i Donn de sora andaran sott,

Parecc miee per el stremizi

Perdaran quel poc giudizi,

Paricc marì per gelosia

Andaran in frenesia

E per trovass el coo ben dur.....

Romparan per fina i mur?

Ch'el sarà on scur da mett orror

Comè la coscienza di Dottor.

E quella che han dit anc mo pu bella

Restarem senza favella,

E anc i usii stremii poeu infin

Borlaran dent in di stuin?

 

VIII.

 

Che vedarem portaa del Vent

Tanti Donn mudaa in Serpent?

Che piovarà di gran Sovran

De qui che cala paricc gran,

O pur a mila i cinq e vott

De qui tosaa, lis, e mezz rott?

Che fina i gajn han da stremiss

E fa l'oevv con su l'Eccliss?

I vacch spaventaa nel ved la luna

Andaran per i loeugh a fa fortuna?

I Torr muggiran fin per i strad

E se sfidaran a bon cornad?

Che perirà la gent onesta

Intant che i birbant faran la festa?

Che vegnarà di inondazion

A chi no gh'ha loeug, nè possession?

 

IX.

 

Paricc Astronem di temp passaa

Tanti sogn han inventaa ,

Per fass cred om de talent

Ma in tutt vessig sgonfiaa de ven

Tutt impostur de Ciarlatan

Per spaventà quai pover bamban ,

Han strologaa tron, e saett,

Nel passagg che fa i Comett

Fam, guerra, carestìa,

E tutta insemma la gerarchia

Di maa, di cruzi, e di malann,

Ma in veritaa quist hin bambann

Tanto gross ai noster dì,

Che per fai ben digerì

Ghe voeur on stomegh inton e grass

D'on Sonador de Contrabass.

 

X.

 

Mar. Eppur paricc già me fan cred

Che quai cosetta ha da suzzed,

Perchè a ved scur del bel mezz dì

L'è un azzident de fa stremì,

Massem per quii che sa nagott

Credaran tutt in d'on bott

Che sia vesin quella stagion

Da sc'ioppà quai gross bugnon.

 

Pasq. E per quest me son fermaa

E inscì alla mei mi vo spiegaa

El motivv ver e sicur

Perchè vedarem a vegnì scur.

Sto scur però boeugna notà

Poc pù d'on ora el durarà,

Cioè sintant ch'el corp Lunar

No la passa via el corp Solar.

 

XI.

 

Mar. Come l'è inscì son ben content

Che no suzzeda on bel nient,

E fa savè alla razza paja

Che quest no l'è che on foeuc de paja

Che segond l'è el nost costum

El fenità andà tutt in fum.

 

Pasq. Savii che cosa el po suzzed

E in queschechì prestem pur fed;

In paricc vel disi mi

Prenzipalment in sto di chi

S'ecclissarà quel poc giudizi

Con maggior so pregiudizi.

Perchè trattand che tutt Milan

Guarda l'Eccliss al meridian,

Paricc Ozios giura diana

Robaran a tramontana.

 

XII.

 

Sicchè mi avverti e quest, e quella

D'avè ben l'oeugg alla Padella,

Da guardà ben al so interess

Perchè i Lader in chi tant spess,

Che curen tutt i occasion

Par podè mantegni i vizi

D'ostarìa, e di sporchizi,

Ai spall di pover Zittadin,

Giacchè sta ciurma d'assassin

Voeuren st'allegher, e passeggià,

Senza desturb de lavorà.

Donc fe a me moeud stee ben attent

A guardavv di Malvivent,

Che dopo l'Eccliss quand el ven ciar

Sto gust non v'abbia a costà car.

 

 

FENIDA.

 

 

 

 

 
DIALOG  TRA PARPOTERA E BARLAFUSA
SU L’INGANN DI SOGN, SUPPOST
BON PER GIUGA’ AL LOTT.

 

 

PARPOTERA

Oh la mia cara Barlafusa

La vengeta al lott l’è andà busa,

Se in grazia ch’hii minga savuu fa

I mee bei sogn a induinà.

M’hii dit ch’el toeugh de scoldalett

L’è desdott, e’l vintissett.

Dove in scambi mi hoo savuu

Che l’è duu, e settanduu.

L’ottanta sett hii dit che l’era

El loeug de frusta e de gallera ;

In temp che san tutt i donnett

Che l’è 'l trentun col vintisett.

 

BARLAFUSA

Ona lottista come mi

Che tutt i donn no foo per di

Ogni strazion quand fa besogn

Vegnen de mi a fa spiegà i sogn,

Come se fuss on quai salam

I de sta chi a mortificam?

 

PARPOTERA

Scusee se mi ve foo st’affront :

Perchè ho pers l’ambi per on pont;

S’el loeug de fevra, e dospedaa,

La parturienta, e la comaa

L’è’l cinq, el noeuv, e l’ottantun,

El trentatrii el loeug comun.

 

BARLAFUSA

Se ved che in gener chi del lott

No savii giust on bel nagott.

Savii però che la in ca mia

Tegni ona mezza libraria

Che la tratta in conseguenza

Dei sogn del lott tutta la scienza;

Gh’hoo’l famos Mirandolan ,

La Borsa d’or, la sort in man,

La Ciav d’or; e chi per dilla

I gabolit della Sibilla,

E tutt i nom ve poss respond

Con i cognom che gh’è a sto mond.

 

PARPOTERA

Con sti bei coss che millantee

Mai una voeulta induinee,

E fin adess mi n’hoo sentuu

Che induinee quant in vegnuu.

Per spiegà i sogn a sto moeud chi

Per veritaa sont bona anch mi.

 

BARLAFUSA

La sura Calara, e la Gossett

Gh’ho minga fa veng on bell’ambiett.

La sura Tecola in st’inverna

La guadagnaa per mi on bon terna

La Bombolott, la Balborin

La pur temp fa ciappaa on Zecchin?

 

PARPOTERA

 Vedem on poo con si resson

Se adess vorrii dam i numer bon.

Loltra nott me so insognaa

Che on zert amis, e me Compaa

El ma menaa la in Borg di goss

A mangià i ciapp con li baloss,

E tutt a on bott sem trovaa lì

Col legn in man poeù mè mari

Ross in faccia comè on gall

Per dan el caffè sui noster spall.

Adess mo fem ved el vost talent

Che numer del sogn ghe trove dent

 

BARLAFUSA

El loeug de ciap, coll’osterìa,

El marì cold de gelosia,

Col legn in man ross, e rabbiaa

El borg di goss, con el compaa

L’è l darsett, coll’ottantun,

El vintiquatter, e sessantun;

Ma tutt sti numer poeu dopò

Bisogna voltai col coo in giò.

E per provai se poden mett

Sott al cossin quand andee in lett ,

Se v’insognee poeu ch’el pajon

El brusa in fiamm, allora in bon.

 

PARPOTERA

Sentii mo quest d’ona vesina :

La se insognaa che in la cusina

La vist ona scimia, ed on castraa

Che visitava un ammalaa

E tutt a on bott quel ch’era in lett

El se veduu tirà colzett;

Dopo queschì n’oltra vesina

La vist on tor con la gajna

A fa tra lor on manuè

A son de tambor, e d’oboè ,

E on barbee con polizia

A scortegà i barb in beccaria.

 

BARLAFUSA

El loeugh de scimia, e de motton

L’è l’ottantott senza question

Per l’ammalaa che creppa in lett

L’è quindes, tredes, col darsett.

In quant al tor colla gajna

Boeugna savè dalla vesina

Se lera da quei che la in verzee

Se vend coi speron visin ai pee;

Allora l’è quindes, e quaranta,

Dees, e sedes col settanta

Per el barbee tegnii a ment

L’è’l loeug de stell, e de torment.

 

PARPOTERA

Così el loeug de luna piena?

 

BARLAFUSA

Ciamel a chi dorma alla serena.

 

PARPOTERA

El loeug de acqua insemma al vin ?

 

BARLAFUSA

Andee a domandag ai Bettolin.

 

PARPOTERA

El loeug de pastìzz, e de caprizi?

 

BARLAFUSA

Ciamel a quii donn senza giudizi

 

PARPOTERA

El loeug de zucc e de melon ?

 

BARLAFUSA

Ai Perrucchee in ogni stagion.

 

PARPOTERA

El loeug de trappel, e de gatton?

 

BARLAFUSA

Ciamel a quii che sta in preson.

 

PARPOTERA

El loeug de debet, e de tenciura?

 

BARLAFUSA

A chi viv de gabol, e d’impostura.

 

PARPOTERA

Con tutt quest bisogna di

Che sii anc vu in tocc compagn de mi.

Con tutta la scienza di vost sogn

Sii piena de strasc, e de bisogn.

E mi con tutt el me studià

Nei di del lott da degiunà

Fa la menestra senza saa,

Con sol la pell del ciervellaa,

D’andà a toeu’l pan fin de rosgieu

Ne scoeud la fam ai me fioeu

E i centesem tegni arrent

N’hoo poduu mai veng nient,

 

BARLAFUSA

L’è perchè i vost sogn in bus

Se gh’avii’l coo come i gambus;

L’è perchè quand hii de giugà

A tutt i donnett vorrii d’atrà;

E insci suzzed che ogni strazion

Vu giughee i matt, e lasse i bon.

I sogn pu bon vel disi a vù

In quii della mezza nott in su

Ma i mei de tutt pù bon ancora

Hin quii che se fa vers l’aurora,

E i sogn de foeug, lader, e mort

Hin quii pu bon, sicur e fort.

 

PARPOTERA

Per divela chi foeura di dent

Nei di de lott dormi nient

Giacche per fav la confidenza

Gh’hoo semper el venter in astinenza.

 

BARLAFUSA

Se vorrii chi on me consej

Mangee ben, e bevii mej

 

PARPOTERA

Vu parlee ben; ma no pensee

Che no poss fall senza danee.

 

BARLAFUSA

Se vend i socch, camis, la vesta,

E anc la scuffia della festa.

 

PARPOTERA

Se in grazia del lott hoo già impegnaa

Fina la bussera della saa?

 

 

CHIUSA

 

Adess capissi ch’hin bamban

E i sogn del lott in tutt ingan;

E con sti ball, e con sti sogn

Chi giuga appont per el besogn

Mi hoo semper osservaa

Che perden per la nezessitaa.

 

FENIDA

 

 

 

 

 

NOEUV TESTAMENT
CHE FA EL SECOL MILLA E VOTT CENT
DOVE AI PRESENT, ED AO PASSAA
EL LASSA LA SOVA EREDITAA

 

 

I

On pover Bosin cantà ‘l vorravv

Del gran Sequel Dezimottavv

L’ultema soa volontaa

Vers a tutt quii ch’el gha lassaa

Sto pover om senza costum

Prima d’avè boffaa in la lum.

Vegnì chi gent d’ogni strazion

Scior, pittoc, e gram, e bon.

Giovenitt, madur, e vecc,

Anc quii che no g’ha nè ca nè tecc,

Don attempaa, e verginell,

E anca de quii che han rott i squell,

Ch’el Sequel no l’ha scordaa nessun

Da lassà quai coss on poo perun:

 

II

Considerand mi da par mi

Che infin chi nass boeugna morì,

E subet ch’avroo i cent agn compii

Mi saroo bell e sbasii,

Donc trattant ch’el coo l’è bon,

San de ment, e de rason,

Preparemes in sto moment,

A fa chì el noster testament.

E fem che la nostra ereditaa

La vaga ai parent, ed ai agnaa.

Si present, come futur,

Senza garbuj, nè imbrojadur,

Imparzialment senza malizia

Come voeur el dover, e la giustizia.

 

III

In primis a quii che ten el timon

De tutt i Stat, e di Nazion,

Item i arma, e i mee cannon

Per v’è in tutt i caas semper reson.

Item ai Sciori titolaa

I glori vecc di so antenaa.

Ai Scioritt de second loeugh

Ghe lassi el men gran para foeugh

Perchè quai voeulta mi già soo

Ve salta el fum su per el coo.

Ai Legai i me polmon

Par v’è in ogni lit semper reson.

Ai Medeg present, ed ai passaa

Item, tutt i Foppon dei Ospedaa.

 

IV

Ai Cerusec l’assoluzion

Ch’el dava ai verz el Campiron.

El lagh de Com ai Speziee,

Con tutt i erbasc la del Verzee.

Ai poeti, e ai Letteraa

I miseri del loeugh dell’Ospedaa.

Item ai Scultor, ed ai Pittor,

Ai artista, e sonador,

I me sciavatt, col me braghee,

Ai Giornalista, e ai Gazzettee,

Item cortii, e foreset

Par tajà a tocc, e a fett,

Quand ghe capita per i man

Di gamber gross oltremontan.

 

V

Item ai Ost, e ai Locandee,

Trattor, Bois, e Caffettee,

Boeuc, Bettol, e Bettolin,

Da vend tri quart d’acqua, e vun de vin

De la carna possa e stracca

De sciguetton, o pur de vacca,

Col nom de manz o de vedell,

Sebben sia tor, o pur agnell.

Item a tutti i cervellee

La coscienza di Giudee

Par podè vend all’occasion

Sossen dè gram, e poc de bon,

E nei salam, e codeghin

Insaccà carna d’asnin.

 

VI

A tutta la razza di Becchee

(Liberamus Domine)

I me gioeugh dei busserott

Che quel ch’è sora el se mett sott.

Perchè se capita el tananan

Che possen fa di gioeugh de man

Ai marcant dè gran e ris

Del poverett semper nemis.

Item on po d’idropisia

Giacchè se ved che sta genìa

Da cress tutt cos n’han mai assee

E han semper set di nost danee

E han semper in pront la furbaria

De fa nass se l’occor la carestia.

 

VII

Ai marcant d’ogni strazion

Tutt i mee sacc e gram e bon,

Per insaccà tutt i bosii,

Tutt i finzion, tutt i voltii,

Che se fan denter per l’ann

A scapet d’on terz, e a pubblic dann.

Ai Negoziant, e ai sensal

Item la canna che usi al servizial

Per scaregà i cattiv umor

Che han causaa i petit dell’or.

Ai Ebrei ampia licenza

Da comprà all’occorrenza

Basta che sien bon marcaa

D’ogni sort de rob robaa.

 

VIII

Item el palc de giustiziaa

A tutt i sasin lader de straa

I mee caden, con i preson,

a quella razza de baron

Che non fan olter che studià

D’andà de nocc a spazzà i cà.

Item ai donn de bonmarcaa

I consolazion dell’ospedaa.

El loeugh della Vedra a tramontana

Ai negoziant de carn’umana.

Item a quella gent pù bassa

Che strappa i dent e la ganassa,

Che venden el balsam del strascion,

Per guarì i donn di ostruzion.

 

IX

El me baston ben gross e dur

Per sopressagh i cusidur.

Item ai donn in general

Si forestee, che nazional,

I me pelland de tutt i sort,

E i me cavii quand saront mort

Per fa di perucc d’ogni color

E studià mod da mett terror,

A zert maridaa ghe lassi anc lor

I scuffi di manz, e quii di tor

Ai donn galant i candiree

Per mettegh sott tutt quii danee

Che tributten i devott

Massem in l’ora della nott.

 

X

Ai Astrolog, e ai Alchimista,

Ai Politegh de prima vista,

Per divertiss, e fa i so fatt

La Senavera di matt.

Item a quii massem de nott

Che cred ai sogn per mett al lott

La mia baretta, el me capell

De tegni ben quattaa el cervell.

Item a tutt i usurarj

Ai avar, ai Pegnatarj

Che caritatevolment

Sughen el sangu di pover gent

I mee galer con di bon rem

Per sta gent che tant me prem.

 

XI

Ai Borsiroeu, con i Brobrò

Ai cabalista, ai imbrojò

Ona porzion de gugliottina

Tolta a degiun già de mattina.

La mia boletta ai spillador,

El sciopp de do cann lassi ai Dottor.

La mia valis ai vagabond,

Ai Geografic el mapamond,

Da giustà de cap in fin

Che adess l’è ridott in sanguintin

Ai Minister, ed ai Statista

I mee occiaj de prima vista

Per podè in grand vedè tutt coss

E pasteggià i boccon pù gross.

 

XII

Item i me strasc all’Allemagna

I me pezz de sollazz alla Romagna,

El me salva danee formaa de terra

El lassi in memoria all’Inghilterra,

La mia camisa ai Genoves,

I mee mudand ai Piemontes,

la spolverina ai Milanees

la baretta de nott lassi ai Paves

I mee Scansciett ai Russian,

I mee sciavatt lassi ai Toscan.

La mia comoda, e l’orinari

A tutt qui coo de visionarj,

Che supponen ogni moment

Da ved a succed quai cambiament.

 

XIII

Al me Successor lassi in legaa

Da pagà i debet che ho lassaa.

Da giustà tutt quel che ho rott,

D’ajutà chi è andà al desott,

D’accomodà i desunion

Nassuu tra i Popel, e i Nazion,

Da medegà tutt i ferid

Da fenì ona voeulta tutt i lid

Da mudà i arma della guerra

In tant ordegn d’arà la terra,

E già che mi no son sta bon

Che mett a scompigli e confusion,

On olter almanc el sia al caas

Da stabilì ona longa paas.

 

XIV

Ch’el cerca almanc da giustà i squell

Perchè ‘l mond staga in cervell,

Ch’el pensa a corregg on poo i costum

E in dove l’è scur portagh del lum,

E inscambi di vizj, e la lissenza,

Portagh di virtù, e della scienza,

Iscambi di mod, e corruzion,

Fagh conoss i dover de Religion,

E come va semper trattaa

Con chi boeugna vivv in sozietaa.

Faa, e rogaa l’ultem dell’ann

Senza trappel, e senz’ingann,

L’an del mila e ottocent

El me ultem Testament

Perchè subet l’abbia effett

Quand andaroo nel catellett.

 

F I N E.

 

 

 

El Ridicol Matrimòni

 

Ohèj giovinotti fii ben attenzion

ve voeuri cantà ona bella canzón

de dúu fradèj prèss a Milan

vun Battista e l'alter Giovann.

 

L'ha cominciàa el fradèll pirlòtta

che 'l ghe parlava a ona paisanòtta

de statura puttòst bassa

l'era larga quatter brazza.

 

L'era bella, l'era bònna

l'era savia 'sta fiolònna

del color del latt e vin

l'era el tesòr del Giovannin.

 

Ma 'l sò fradell sto cicolàtt

‘l sghignazzava come on matt

a vedè 'I fradell pirlòtta

che 'l ghe parlava a sta paisanòtta.

 

Te vedarèmm ti ohèj remolàss

con chi l'è te 'ndarét a sposàss

te vedarèmm ti ohèj remolàss

con chi l'è te 'ndarét a sposàss.

 

Allora Iú pien de pontili

el butta el capell in del Navili

el cor de sora in del cassetton

el tira foeura i pagn del feston.

 

El ciappa el tram che vègn a Milan

el va a l'albergo di Trii Tulipan

el va in d'on trani a mangià on boccon

el ved ona dònna lì in d'on canton.

 

On poo con furia e on poo con flemma

l'invida a disnà insemma

el gh'è stàa insèmma ona giornada

e poeu a cà se l'è menada.

 

Ohèj fradell a gh'hoo chi '1 tesór

l'è granda e gròssa e ‑la par on tór

ohèj fradell a gh'hoo chi '1 tesór

l'è granda e gròssa e la par on tór.

 

Hann combináa 'sti dúu tripée

in del stèss dì de toeu miée

e han invidàa precisament

tutta la porta e tucc i parent.

 

Poeu han mangiàa de la gran famm

votanta chili de salàmm

quaranta gaijnn cinquanta capon

sett porscèj e vòtt monton.

 

Trii padéj de risòtt giald

quatter mastèj de lasàgn cald

ses cavagn fra uga e pêr

e quatter navasc de caffè ner.

 

Poeu han bevúu sti dúu meschin

a squarciagola brent de vin

"Oh mamma mia sont bon pú de boffà

spètti l'ora de 'ndà in Iétt a cobià".

 

Ma anca Iú ’n el vedeva l'ora

de 'ndà in lètt con la soa sciora

ma l'era grassa come on boeu

e de l'uss la passava nò.

 

Fin che rusa e rusa ben

han riessí a rusàla dent

fin che rusa e rusa ben

han riessí a rusàla dent.

 

L'ha cominciàa sto gran donnòn

a trà foeura la scuffia capell e spinón

tra foeura la scuffia a l'inviada

ohéj la gh'aveva la crapa pelada.

 

L'ha cominciàa quiét quièt

a tiràgh foeura tutt i fassètt

e Iú '1 vosava " vègn chí o fradèll

vedèlla in camisa la par on cammèll.

 

La gh'ha i oeucc fosch fosch

la gh'ha '1 nas che tira i mosch

poeu la gh'ha '1 stòmegh che '1 par on teccètt

che per impienill ghe voeur el boffètt.

 

La gh'ha i gamb ch'inn dúu giambon

sui dit ghe cress i erbion

per de pù la gh'ha i pee piatt

la gh'ha la pell come quella d'on sciàtt.

 

Ohèj mi credevi menà a cà on barcon

vedèla in camisa l'è nanca '1 timon

oh giovinòtti tornèe indrée

se gh'ii voeuja de toeu mièe.

 

Poeu damm a trà a mi fii 'na ròba precisa

vardégh ben quand l'è in camisa

poeu damm a tra a mi fii 'na ròba precisa

vardégh ben quand l'è in camisa.

 

Pan pòss pan fresch

indovina che l'è quest

Pan pòss pan fresch

indovina che l'è quest.

 

 

 

 

 
 
 
I Lament di tosann tutt disperaa
perché gh’è i gioven che van a soldaa

 

O pover tosann che secol sii rivaa

che vegnii tanto a bon mercaa

tutt a soldà vann omen e pivej

vegní al prezzi di solfanej

e la mamma la se stuffa

ai tosann ghe vègn su la muffa

gh'avii di goeubb, di nan e di stropiaa

e i pussée bej vann tucc a soldaa

 

 

La piang adèss la Tira-cazzòtt

che l'è andaa via el sò merlòtt

el contingent l'è andaa a l'armada

lée la voreva trass giò in strada

ma a trass giò in strada la se fa mal

l'è andada a beven on boccal

de la passion del sò tulipan

l'ha mangiàa dú chili e mezz de pan.

 

La piang fort la Pissa-in-lètt

perchè gh'è andàa via el sò Richètt

pover tosann a cunt di sti guaj

vegnii al prezzi giust de l'aj

a cunt de la guerra la sciora Ruminga

la vègn al prezzi de se sa minga

donca tosann se pur avii intes

sii al prezzi che costa i scires.

 

El cervellée per nòmm Clement

l'han ciamaa sú in contingent

e per morosa el gh'aveva ona madamin

che ghe dava el salamin

adèss la piang sta povera madamm

la gh'ha domà el pan senza el salamm

e la spera la sciora Carucò

che quel di salamm el torna ancamò.

 

Pover tosànn a cunt de la guerra

sii tucc al prezzi di pomm de terra

e se, va innanz sta marmagna

vosen tucc tríi sold la cavagna

e coi vècc senza discor

o tosann avii de fa l'amor

l'ultim prezzi a divel ciar nètt

o tosann l'è quel d'on brichètt.

 

 

 

 

 

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