Letteratura Milanese

 

 

 

Biografia di Carlo Porta

 

 

* Infanzia e adolescenza

* Il Porta a Venezia

* Il ritorno a Milano

* Matrimonio

* Gli amici della Cameretta

* Questione della Prineide

* La malattia

* La lettera al figlio

* Morte

 

 

 

Bibliografia

 

 

 

 

Infanzia e adolescenza

 

 

L'atto di nascita, estratto dai registri battesimali della già parrocchia di San Bartolomeo, ora conservati in quella di San Francesco da Paola, lo dà nato il 15 giugno del 1775 da don Giuseppe Porta e Violante Gottieri, e battezzato il 18 dello stesso mese; ma ciò sembra contrastare il frammento di un sonetto del poeta stesso, in cui leggesi:

 

Sont nassuu sott a San Bartolamee

In del mila setteent settanta ses,

A mezz-di del dì quindes de quel mes

Ch'el só el riva a quel pont ch'el volta indrée.

 

per cui il Grossi ed altri, interpretando alla lettera i versi, senza pensare che il mese in cui si ha il solstizio d'estate ,è il mese di giugno, hanno veduto un'allusione all'accorciarsi sensibile delle giornate di agosto e lo dissero nato di 15 di quel mese. Più grave è risolvere la questione dell'anno, se non s'ammette la vanità di togliersi un anno, un abbaglio o un'amnesia da parte del poeta che soffriva di nevrosi, o la persuasione di affermare un fatto positivo o la lepidità di consacrare artisticamente la verità di fatto contro la verità ufficiale.

La sua famiglia era milanese, ma non nobile: il don era riverenziale e tradizionale, un avanzo della dominazione spagnola, che si poteva conseguire facilmente, pagando cinquecento fiorini. Suo padre fu un pubblico impiegato, un ragioniere e amministratore di aziende private. Tenne i conti della chiesa di San Simpliciano, l'amministrazione della chiesa di San Pietro in Gessate e del Collegio di Brera, percorse la carriera negli uffici della Tesoreria dello Stato di Milano fino a diventare cassiere generale, e chiuse i suoi giorni, nonagenario, il 17 febbraio del 1822. Sua madre, Violante Gottieri, fu una buona donna, piena di affetto per il figlio, come si rileva dalle lettere che ci sono rimaste.

Il nostro Carlo era il terzo di tre fratelli: il primo chiamavasi Gaspare, il secondo Baldassare, ed egli, per non far torto ai tre Re Magi, si ebbe anche i nomi di Antonio, Melchiorre, Filippo.

Studiò da prima nel Regio imperiale Collegio de' Convittori detto di S. M. degli Angioli in Monza, poi nel Seminario di Milano.

Lasciati gli studi, fu avviato alla vita commerciale. Il padre, uomo pratico, lo mandò a 16 anni, ad Augsburg perché vi imparasse la mercatura e il tedesco. Ma questo soggiorno riuscì increscioso al figlio; il quale non si occupò di commercio né si preoccupò di imparar la lingua, e spese il suo tempo a bazzicare nei caffè e in altri ritrovi. Trascurava inoltre quelle pratiche religiose a cui avrebbe dovuto adattarsi, e finì coll'inimicarsi l'animo della famiglia Weith alla quale era stato affidato. Il padre, quantunque egli scrivesse che metteva la testa a partito e che « s'era adattato di buona volontà alle cose di Chiesa », decise di richiamarlo a Milano.

Milano offriva allora uno spettacolo nuovo: qui cominciavano ad affluire da ogni parte d'Italia gli spiriti più liberi, e vi si risentivano gl'influssi della rivoluzione francese.

Come abbia passato questi primi anni, è, difficile dire.

L'amico suo Tommaso Grossi narra che Carlo intraprese la carriera degl'impieghi « dopo varii anni d'ozio giovanile, » e questi cadono fra il 1792 e 98. Forse egli avrà intanto aiutato il padre nel disbrigo delle sue faccende, o il fratello maggiore, Gaspare, in banca, o Baldassare nella mercatura. Il Porta, ad ogni modo, non prese parte attiva ai rivolgimenti politici e agli eccessi demagogici, pur essendo nell'età in cui maggiormente ci si lascia traviare dalla passione.

Milano era diventata la fucina delle nuove aspirazioni e delle folli sfrenatezze, specie dopo che le teorie repubblicane, a lungo predicate, vi trionfarono con l'arrivo dei Francesi. Allora, nelle clamorose feste, mentre si ballava intorno agli alberi della libertà, si soffocavano nel sangue i tentativi d'insurrezione si esaltava la santa democrazia portata da

 

Quatter strascion senza camisa,

Senza sciopp, senza divisa,

Senza scarp, senza calzett;

 

e, per desiderio di completa eguaglianza sociale, si chiedeva, che anche la guglia maggiore del Duomo fosse abbassata al livello delle altre. Il Porta, insieme con l'amico Bernardoni, organizzava una compagnia di dilettanti, per recitare drammi intesi a diffondere nel popolo il vangelo repubblicano.

Anche il Porta si metteva dunque su la via del teatro, come il grande suo predecessore Maggi; ma, a differenza di questi, invece di scrittore diveniva attore, e uno dei fondatori del Teatro Patriottico di Milano, l'attuale Teatro dei Filodrammatici. Il libraio e poeta Bernardoni aveva ottenuto dalla Municipalità il teatrino del Collegio Longone detto « dei Nobili » lasciato dai Barnabiti, e quivi aveva rappresentato, fra l'entusiasmo popolare, un Guglielmo Tell da lui manipolato, e la Virginia dell'Alfieri. Ridonata questa sala ai giovani del collegio, la compagnia, per continuare l'opera sua a pro delle idee repubblicane, chiese e ottenne l'aula dell'antica chiesa dei Santi Cosma e Damiano alla Scala, lasciata libera dal Gran Consiglio dei Seniori, trasferitosi altrove. Si fece poi regalare le campane, e le vendette per farne denari; indi aprì sottoscrizioni, e incaricò il Piermarini di costruire il nuovo Teatro, che fu detto Patriottico.

I tempi si facevano sempre più gravi di avvenimenti, e minacciosi. Giuseppe Porta temette forse che il figlio avesse a compromettersi, e pensò di mandarlo a Venezia come impiegato presso l'Archivio delle finanze.

 

 

 

Il Porta a Venezia

 

Nel 1798 Carlo lascia, dunque, per la seconda volta, Milano; e questa volta per Venezia, la città delle sfrenate passioni, caduta recentemente dal suo alto fastigio, e passata, col trattato di Campoformio, sotto il dominio dell'Austria.

 

Il Porta, andandosene, portava seco il suo brio innato. Non gli potevano certo mancare brigate allegre e giulive nella città in cui il carnevale si protraeva per sei mesi e per altrettanti la baldoria. Egli trovò presto modo di partecipare alla vita spensierata della città gaudente, e divenire capo d'una società di buontemponi, detta della Ganassa: un nome che da solo spiega quale intento essa avesse.

 

Spesso, com'è facile a immaginare, si trovava a corto di denari: al fratello Gaspare scriveva d'aver mandato al Monte di Pietà il tabarro per tirar avanti un'altra settimana. Tuttavia l'allegria non gli mancava. Il Grossi, suo intimo amico, ci dice che a Venezia, avendovi il Porta conosciuto alcuni poeti dialettali, « per la prima volta sentisse bollire fortemente in seno il desiderio di far versi ». E questo è vero; però non va dimenticato che prima già aveva tentato di tradurre in milanese l'ode del Parini a Silvia: del che fa fede il Bernardoni.

 

A Venezia il Porta conobbe Antonio Lamberti, il quale